Investire in ETF implica una serie di vantaggi che consentono sia un accesso agli investimenti ragionevolmente semplice sia di mitigare alcuni rischi legati agli investimenti stessi.
Vediamo quali sono:
Gli ETF godono di una buona liquidità, il che significa che è molto semplice comprare o vendere quote in tempi brevi e con un prezzo molto vicino al desiderato, poiché sarà semplice trovare una controparte.
La loro replica di un benchmark li rende versatili, poiché per acquisire uno strumento che performa, ad esempio, come l’intero mercato azionario americano, l’investitore può acquistare un ETF, anziché acquistare le singole azioni, con un taglio netto dei costi e dell’investimento richiesto. Questa facilità permette di costruire in modo semplice strategie multi asset per sfruttare al meglio le varie fasi di mercato attraverso un'ottima diversificazione [1].
La natura “passiva” [2] degli ETF garantisce bassi costi di gestione, che nel lungo termine si traducono in maggiori guadagni e maggiore effetto composto.
Se un fondo attivo può costare più del 2% l’anno, un ETF difficilmente supera lo 0,5%.
Uno dei vantaggi meno scontati della replica passiva è la forte trasparenza del fondo: non è difficile infatti conoscere esattamente la composizione di portafoglio, poiché è identica a quella dell’indice di riferimento, indicato chiaramente nella documentazione dell'ETF.
In ultimo, la sicurezza degli ETF, quelli fisici e non quelli sintetici, è garantita dal fatto che il patrimonio investito è separato da quello della società, per cui, anche in caso di fallimento della società emittente, viene garantito il rimborso delle quote versate.
A livello di performance gli ETF danno una certezza: non potranno performare peggio del benchmark di riferimento. Da uno studio di Morning Star, emerge un’altra verità: il 91,2% dei fondi attivi non ha battuto gli ETF negli ultimi 10 anni, registrando quindi uno scenario peggiore per l’investitore (Morningstar, 2019).
ETF a distribuzione e ad accumulazione: differenze fiscali
Rilevanti sono le differenze fra gli ETF che distribuiscono i proventi e gli ETF che invece reinvestono tali proventi all’interno del fondo. Gli ETF a distribuzione hanno la cedola tassata al 26% in caso di dividendo azionario, al 12,50%, in caso di interesse derivante da titoli di stato governativi dell’Unione Europea mentre gli ETF ad accumulazione, non soffrono alcuna tassazione per le medesime cedole reinvestite. È lampante che il regime fiscale italiano facilita gli ETF ad accumulazione, che godono del maggiore beneficio della capitalizzazione degli interessi composti [3].
[1] Perchè non conviene investire negli ETF tematici?
I fondi tematici, così come gli ETF tematici, hanno l'obbiettivo di investire in una categoria di strumenti che dovrebbero diversificare su specifici trend di lungo periodo (tecnologia, salute, economia sostenibile...). Gli investimenti tematici non seguono i trend del momento, ma cercano di cavalcare le tendenze che plasmeranno il futuro. Molto spesso, però, questi fondi sono dei semplici settoriali oppure degli azionari globali che non hanno un indirizzo ben definito. Il confine è talmente labile che per il risparmiatore non è affatto semplice fare la distinzione. Spesso la sola differenza è nell’ammontare delle commissioni, solitamente più elevate rispetto ai prodotti tradizionali.
Inoltre i fondi tematici non garantiscono un'adeguata diversificazione. Infatti, sebbene questi prodotti comprendano più Paesi, essi sono molto correlati al proprio interno per effetto della specializzazione settoriale.
Infine la logica di fondo per cui dovremmo scegliere un Fondo tematico anzichè un Fondo non specializzato è la consapevolezza che si sta investendo in una tematica vincente e in un momento in cui le potenzialità di guadagno della tematica sono ancora elevate. Ma è abbastanza evidente come sia difficile sapere effettivamente come andrà il futuro. Si tratta perciò di una scommessa molto rischiosa. Il 55% dei fondi tematici lanciati nel 2010 sono stati chiusi prima del 2020. Dei rimanenti, solo il 25% ha registrato performance superiori all’indice azionario globale (MSCI WORLD).
[2] Gestione attiva vs gestione passiva
"La gestione passiva si caratterizza per il fatto che il gestore persegue un'asset allocation tale da replicare il più fedelmente possibile il benchmark di riferimento.
La gestione passiva è coerente con l'ipotesi di mercati efficienti: se i mercati sono efficienti non è possibile batterli sistematicamente al netto dei costi informativi, quindi un investitore razionale può decidere di adottare una strategia di gestione finalizzata a replicare l'andamento del mercato. Gli ETF sono esempi di portafogli a gestione passiva." Fonte: Borsa Italiana
"La gestione attiva si caratterizza per il fatto che il gestore persegue un'asset allocation diversa rispetto al benchmark di riferimento, al fine di ottenere un extra rendimento rispetto allo stesso benchmark. Il gestore potrà quindi variare i pesi delle attività in portafoglio in funzione delle proprie aspettative e dei risultati delle proprie analisi in modo tale da privilegiare aree e titoli che con maggior probabilità realizzeranno rendimenti superiori rispetto alla media." Fonte: Borsa Italiana
Per approndire le differenze tra la gestione attiva e passiva:
[3] Lo svantaggio degli ETF a distribuzione sembra non esserci qualora gli stessi siano detenuti da una società in quanto il dividendo sconta l'IRES inizialmente al 5%, vantaggio che viene garantito in quanto successivamente viene applicata la ritenuta d'imposta in fase di distribuzione degli utili della società. In realtà gli ETF a distribuzione non vanno presi nemmeno sulla società in quanto la normativa del divindend washing prevede l'indeducibilità delle minisuvalenze fino a concorrenza dei dividendi percepiti nei 36 mesi precedenti per la quota non tassata (100%-5%).