5.2.5.7 Private equity

Il private equity è una forma di investimento che consiste nell'acquisizione di partecipazioni in società non quotate in borsa, con l'obiettivo di sostenerne la crescita, la trasformazione o il risanamento e di realizzare un profitto al momento della successiva vendita della partecipazione.

Le principali caratteristiche sono:

  • Investimento in società non quotate
    Il private equity si rivolge a imprese che non sono presenti nei mercati regolamentati. Può trattarsi di startup, aziende in crescita, realtà mature che necessitano di espansione o società in difficoltà che richiedono una ristrutturazione.

  • Orizzonte temporale medio-lungo
    Gli investimenti hanno una durata tipica di 5-10 anni. Durante questo periodo, l’investitore lavora attivamente per aumentare il valore dell’azienda.

  • Illiquidità
    Il capitale investito resta vincolato per tutta la durata dell’investimento, rendendo il private equity una asset class poco liquida: non è possibile vendere facilmente la partecipazione prima della scadenza prevista.

  • Alto rischio e alto potenziale di rendimento
    Gli investimenti in private equity sono considerati rischiosi, poiché il successo dipende dalla capacità dell’azienda di crescere e generare valore. Tuttavia, in caso di esito positivo, i rendimenti possono essere molto elevati.

  • Coinvolgimento attivo dell’investitore
    L’investitore di private equity non si limita ad apportare capitale, ma partecipa attivamente alle decisioni strategiche dell’azienda, contribuendo con competenze manageriali, consulenza e supporto operativo.

  • Obiettivo di valorizzazione e disinvestimento
    L’obiettivo finale è la valorizzazione dell’impresa e la successiva uscita dall’investimento, che può avvenire tramite quotazione in borsa (IPO), vendita a un’altra società o a nuovi investitori, oppure riacquisto da parte dei soci originari.

Struttura degli investimenti

  • Fondi di private equity
    Gli investimenti vengono generalmente effettuati tramite fondi specializzati, gestiti da team di professionisti (General Partner) che raccolgono capitali da investitori istituzionali e privati qualificati.

  • Diversificazione
    I fondi investono in un portafoglio di società (di solito 10-30), con l’obiettivo di bilanciare i rischi e massimizzare i rendimenti complessivi.

  • Due diligence approfondita
    Prima di investire, viene condotta un’analisi dettagliata (due diligence) per valutare le potenzialità e i rischi dell’azienda target.

Quanto rendono? Attenzione al TIR!

I fondi di private equity spesso dichiarano un Tasso Interno di Rendimento (TIR o IRR) molto elevato grazie a caratteristiche specifiche del calcolo e a certi "trucchi" legati alla gestione dei flussi di cassa:

- Tempistica dei flussi di cassa: L’IRR tiene conto non solo di quanto guadagni, ma anche di quando ricevi i soldi. Se un fondo restituisce rapidamente parte del capitale agli investitori, l’IRR sale anche se il guadagno totale non è eccezionale.

- Ritardo nei richiami di capitale: I fondi possono ritardare il momento in cui chiedono i soldi agli investitori (capital call), facendo sembrare che il capitale sia stato investito per meno tempo e quindi aumentando artificialmente il TIR.

- Restituzione e nuovo richiamo di capitale: Alcuni fondi restituiscono parte del capitale agli investitori e poi lo richiedono di nuovo. Questo “gioco” sulle tempistiche dei flussi di cassa può gonfiare il TIR senza che il rendimento reale sia migliore.

- Non confrontabilità con altri indicatori: L’IRR non è direttamente confrontabile con il rendimento annuo composto (CAGR) di strumenti come ETF, perché considera la tempistica dei flussi di cassa, mentre l’ETF presuppone che il capitale sia investito tutto dall’inizio e rimanga investito per tutto il periodo.

Attenzione!!

I consulenti finanziari NON  indipendenti propongono spesso queste soluzioni dichiarando rendimenti stellari (IRR). 

Ma attenzione, un IRR elevato non significa necessariamente che l’investimento abbia generato un guadagno superiore rispetto a un investimento tradizionale come un ETF. È fondamentale guardare anche al multiplo del capitale investito (MOIC) e non solo al TIR.

Esempio di un investimento di 1 milione per 10 anni confrontando il rendimento di un fondo di private equity (TIR) con il rendimento annuo di un ETF:

  • nel fondo di private equity viene restituito metà dell'investimento dopo 2 anni e il resto dopo 10 anni: il TIR sarà pari al 15,1% con un capitale finale di 2 milioni;
  • nell'ETF, con un rendimento annuo analogo (del 15,1%), ottengo un capitale finale di 3,1 milioni.

Cosa succede?  

  - Il fondo di private equity, grazie alla restituzione anticipata di parte del capitale, dichiara un IRR del 15,1%.  

  - L’ETF, con lo stesso tasso annuo composto, genera un guadagno finale molto più alto, perché il capitale resta investito e cresce grazie all’interesse composto.

Il “trucco” del TIR sta nella gestione dei flussi di cassa e nelle modalità di calcolo, che possono gonfiare la percentuale senza riflettere il reale guadagno totale.

Il rendimento annuo composto di un ETF è più trasparente e rappresenta la crescita effettiva del capitale nel tempo.

Dunque, non confrontare mai direttamente l'IRR di un fondo con il rendimento annuo di un ETF senza analizzare come sono stati calcolati e quali sono i flussi di cassa effettivi.

Purtroppo, molto spesso, i fondi di private equity dichiarano TIR molto elevati senza svelare completamente i rischi nascosti principalmente grazie a:

- Valutazioni poco trasparenti e soggettive degli asset: spesso i valori delle società in portafoglio non si basano su prezzi di mercato reali, ma su stime interne o consulenze private, che possono essere ottimistiche e ritardare la svalutazione degli asset in periodi di crisi.  

- Blocco del capitale e illiquidità: il denaro degli investitori è vincolato per molti anni (anche 10 o più), il che consente ai gestori di evitare vendite a prezzi bassi e di posticipare la realizzazione delle perdite, mantenendo alto il valore apparente del fondo.  

- Conflitti di interesse e commissioni elevate: i gestori hanno incentivi economici a mantenere alto il valore dichiarato per giustificare commissioni di gestione e di performance, spesso a scapito della trasparenza e dell’interesse degli investitori.  

- Operazioni di trasferimento interno degli asset: l’uso di “fondi di continuazione” o la vendita di società da un fondo a un altro gestito dagli stessi operatori può creare un effetto di “riciclo” degli asset, nascondendo perdite e gonfiando il TIR.  

- Rischio di liquidità e mancanza di mercato secondario: la difficoltà di uscire dall’investimento senza perdite è spesso sottovalutata o poco comunicata, facendo sembrare il private equity più solido e redditizio di quanto sia in realtà.  

- Mancata armonizzazione e regolamentazione limitata: la normativa sui fondi di private equity è meno stringente rispetto ai fondi tradizionali, con minori obblighi di trasparenza e controllo, lasciando spazio a valutazioni e comunicazioni poco chiare.

Fondi di fondi di private equity

Considerato tutti i rischi visti in precedenza pare opportuno quantomeno diversificare il rischio investendo in un fondo di fondi di private equity, così da distribuire il capitale su molti fondi e aziende diverse.

Tuttavia, questa diversificazione ha un costo significativo:

- Commissioni di gestione annue medie: 2,0% - 2,5% annuo sul capitale investito.

- Commissione d’ingresso media:  circa 1%.

- Commissioni di performance (carried interest): mediamente intorno al 15% sui profitti realizzati.

- Costi indiretti e spese operative: 0,3% - 0,5% annuo.

In pratica, l'impatto sui costi in 8 anni su un investimento ipotetico di 10.000 euro finisce per essere tra i 1.940 e i 2.500, senza considerare le commissioni di performance.

Al confronto, un ETF azionario ha tipicamente un costo totale annuo (TER) compreso tra lo 0,2% e lo 0,5%, che, su 8 anni per un investimento di 10.000 euro, potrebbe costare tra 160 e 400 euro in totale, molto meno rispetto a un fondo di fondi di private equity.

Insomma, i fondi di fondi di private equity offrono diversificazione e accesso a investimenti esclusivi, ma a un costo molto elevato, che può erodere una parte significativa dei rendimenti netti.

In media, su 8 anni, i costi diretti e indiretti possono superare il 20-25% del capitale investito, senza considerare il peso delle commissioni di performance.

Gli ETF rappresentano un’alternativa molto più economica e liquida, anche se con caratteristiche diverse.