Vantaggi

5.3.2 Vantaggi

Vantaggi: perché conviene investire in ETF?

Investire in ETF implica una serie di vantaggi che consentono sia un accesso agli investimenti ragionevolmente semplice sia di mitigare alcuni rischi legati agli investimenti stessi.

Vediamo quali sono: i vantaggi sono che tu hai o no gli ETF dovresti in ogni caso averlo, per via dell importanza

Gli ETF godono di una buona liquidità, il che significa che è molto semplice comprare o vendere quote in tempi brevi e con un prezzo molto vicino al desiderato, poiché sarà semplice trovare una controparte.

La loro replica di un benchmark li rende versatili, poiché per acquisire uno strumento che performa, ad esempio, come l’intero mercato azionario americano, l’investitore può acquistare un ETF, anziché acquistare le singole azioni, con un taglio netto dei costi e dell’investimento richiesto. Questa facilità permette di costruire in modo semplice strategie multi asset per sfruttare al meglio le varie fasi di mercato attraverso un'ottima diversificazione.

La natura “passiva” [1] degli ETF garantisce bassi costi di gestione, che nel lungo termine si traducono in maggiori guadagni e maggiore effetto composto.

Se un fondo attivo può costare più del 2% l’anno, un ETF difficilmente supera lo 0,5%.

Uno dei vantaggi meno scontati della replica passiva è la forte trasparenza del fondo: non è difficile infatti conoscere esattamente la composizione di portafoglio, poiché è identica a quella dell’indice di riferimento, indicato chiaramente nella documentazione dell'ETF.

In ultimo, la sicurezza degli ETF, quelli fisici e non quelli sintetici, è garantita dal fatto che il patrimonio investito è separato da quello della società, per cui, anche in caso di fallimento della società emittente, viene garantito il rimborso delle quote versate.

A livello di performance gli ETF danno una certezza: non potranno performare peggio del benchmark di riferimento. Da uno studio di Morning Star, emerge un’altra verità: il 91,2% dei fondi attivi non ha battuto gli ETF negli ultimi 10 anni, registrando quindi uno scenario peggiore per l’investitore (Morningstar, 2019).

 

Ritorno alla media

La caratteristica degli ETF è che il loro valore tende al "ritorno alla media” (mean reversion): quelli che sono andati bene tenderanno ad andare male e viceversa. La considerazione non è né banale né scontata in quanto, ad esempio, per le singole azioni vale la regola opposta: le società che hanno ben performato è più probabile che continuino a farlo e viceversa. 

Alcuni esempi:

- l'ETF sul petrolio o sulle azioni brasiliane hanno valutazioni basse con P/E < 10 in quanto le aspettative del mercato sono pessime: bene è il momento d'acquistarle;

- l'ETF sull'intelligenza artificiale o sulle azioni svizzere hanno valutazioni elevate con P/E > 30 in quanto le aspettative del mercato sono eccezionali: attenzione è giunto il momento di venderle;

- la Banca di S.Soldo ha valutazioni basse con P/E < 10 in quanto le aspettative del mercato sono pessime: attenzione perché c'è il rischio che fallisca;

- Apple ha valutazioni elevate con P/E > 20 in quanto le aspettative del mercato sono ottime: può essere che non sia il momento di venderle ma bensì d'incrementare la posizione.

Questa differenza di approccio è data dal fatto che: i settori tendono a ruotare ma non possono sparire, mentre i singoli titoli ruotano nel senso che alcuni falliscono per esaltare la performance dei nuovi entrati.

Dunque la teoria del “ritorno alla media”, secondo la quale i fondamentali possono sganciarsi temporaneamente dall’economia ma alla fine ripristineranno un equilibrio stabile, è uno degli aspetti fondamentali nella scelta degli ETF. I refrattari a questa teoria ritengono che nei periodi di importanti cambiamenti sarebbe come investire contro l’innovazione ed il cambiamento.

Il ragionamento non è sbagliato ma MyGuru ritiene che questo approccio nasconda uno degli errori più grandi che possa fare l'investitore: avere la presunzione di prevedere il futuro. Infatti, sembra impossibile essere certi che una nuova tecnologia o un determinato social si imponga definitivamente stravolgendo il mercato.   

Naturalmente il risparmiatore non assistito da un bravo consulente finanziario tende a muoversi in senso contrario al mercato in quanto è soggetto a diverse distorsioni cognitive (bias):

- bias cognitivo del gregge, si tende ad avere fiducia e ad accettare qualcosa semplicemente perché molte altre persone sono della stessa idea, mentre, si deve imparare a pensare in modo indipendente; le bolle speculative sono tipicamente il risultato della mentalità del gregge;

- disponibilità a cascata, più una convinzione viene ripetuta pubblicamente e più tenderà a guadagnare plausibilità, sembrando sempre più corretta e vera;

- l'euristica della disponibilità, pensiamo che gli avvenimenti più recenti abbiano maggiori probabilità di verificarsi in futuro e per lo stesso motivo tendiamo a valutare come più importanti le cose più facilmente richiamabili alla mente;

- pregiudizio dell'innovazione, che tende a farci generalizzare i benefici dell'innovazione, portandoci a pensare che ogni innovazione sia buona, senza valutare accuratamente i potenziali rischi.

Se vuoi approfondire ulteriormente la tematica degli ETF dai una lettura al seguente articolo: Articolo Sole 24 ore

 

NOTE

1

GESTIONE ATTIVA VS GESTIONE PASSIVA

La scelta tra gestione attiva e gestione passiva rappresenta una delle decisioni più importanti per un investitore, sia privato sia istituzionale. Questa decisione ha un impatto diretto sui costi, sul rischio, sul potenziale rendimento e sulla complessità della gestione del portafoglio.

Negli ultimi decenni, la crescente diffusione degli ETF e dei fondi indicizzati ha portato a un forte aumento della gestione passiva, mentre la gestione attiva si è evoluta cercando di giustificare i costi più elevati con la capacità di generare valore aggiunto (alfa, extra rendimento rispetto al mercato).

Tuttavia, la realtà dei mercati e i risultati empirici suggeriscono, almeno per quanto concerne gli investitori non professionali, di preferire l’investimento passivo.

1. La gestione passiva e l’ipotesi dei mercati efficienti (EMH)

1.1 Origini e concetti fondamentali

La gestione passiva si basa sull’ipotesi dei mercati efficienti (Efficient Market Hypothesis, EMH), sviluppata da Eugene Fama negli anni ’60, premio Nobel per l’Economia nel 2013 (insieme a Robert Shiller e Lars Peter Hansen) per le loro analisi empiriche sui prezzi delle attività finanziarie, che sostiene che i prezzi dei titoli riflettano sempre tutte le informazioni disponibili. In un mercato efficiente, è quindi impossibile battere sistematicamente il mercato dopo aver considerato costi e tasse.

Come confermato anche dalla Borsa Italiana: “La gestione passiva è coerente con l’ipotesi di mercati efficienti: se i mercati sono efficienti non è possibile batterli sistematicamente al netto dei costi informativi, quindi un investitore razionale può decidere di adottare una strategia di gestione finalizzata a replicare l’andamento del mercato.”

1.2 Implicazioni pratiche

L’EMH implica che ogni nuova informazione venga immediatamente incorporata nel prezzo di mercato, rendendo inutile tentare di “battere il mercato” con analisi o timing. Questo spiega perché la gestione passiva, che replica semplicemente un indice di riferimento, è normalmente la scelta più razionale per l’investitore.

1.3 Critiche e limiti dell’EMH

Nonostante la solidità teorica, l’EMH è stata criticata e integrata da teorie alternative, soprattutto in relazione a:

  • Bolle speculative e crisi di mercato (es. bolla dotcom, crisi finanziaria 2008)

  • Comportamenti irrazionali degli investitori (bias cognitivi, panico, euforia)

  • Anomalie di mercato (effetto small cap, momentum, value premium)

Questi aspetti hanno dato origine alla finanza comportamentale, che riconosce l’importanza della psicologia umana e delle emozioni nel determinare i prezzi di mercato. Ma, come spiegato più avanti, anche secondo la finanza comportamentale la gestione passiva è preferibile rispetto a quella attiva.

2. La gestione attiva: caratteristiche e approcci

2.1 Definizione e obiettivi

La gestione attiva mirerebbe a superare il rendimento del mercato attraverso due strumenti principali:

  • Stock picking: consiste nella selezione attiva di singoli titoli azionari ritenuti sottovalutati o con potenziale di crescita superiore rispetto al mercato o al benchmark di riferimento. Il gestore formula previsioni sull’evoluzione delle variabili rilevanti per il prezzo di ciascun titolo e costruisce un portafoglio concentrato su queste scelte. Limiti:

Difficoltà di prevedere i prezzi con costanza
Il successo dello stock picking dipende dalla capacità del gestore di elaborare previsioni più accurate degli altri operatori di mercato, sfruttando inefficienze temporanee nei prezzi. Tuttavia, i mercati sono spesso molto efficienti e le informazioni rapidamente incorporate nei prezzi, rendendo difficile mantenere un vantaggio competitivo nel tempo.

Rischio di concentrazione e volatilità
Lo stock picking comporta spesso portafogli con poche posizioni concentrate, aumentando il rischio specifico legato a singoli titoli. Se le previsioni sono errate, le perdite possono essere significative.

Costi più elevati
La selezione attiva richiede frequenti operazioni di compravendita, aumentando i costi di transazione e le commissioni di gestione, che erodono il rendimento netto.

Difficoltà per investitori non professionisti
Lo stock picking è un’attività complessa che richiede competenze approfondite, tempo e risorse. Per questo motivo è sconsigliato agli investitori, che spesso preferiscono strumenti passivi come gli ETF.

  • Market timing: è la strategia che consiste nel cercare di prevedere i movimenti di mercato per entrare o uscire in momenti favorevoli, con l’obiettivo di massimizzare i rendimenti o minimizzare le perdite. Il gestore attivo basa le sue decisioni su analisi fondamentali (bilanci, indicatori economici), tecniche (andamenti storici dei prezzi), macroeconomiche e di mercato. Limiti:

Difficoltà predittiva elevata  Prevedere con successo i movimenti di mercato è estremamente complesso anche per i professionisti. Molti studi dimostrano che anche gli investitori esperti falliscono spesso nel timing, perdendo i giorni di mercato più favorevoli. Ad esempio, perdere il giorno con il maggior guadagno in un anno può ridurre il rendimento annuale di oltre il 10%.

Rischio di perdere opportunità  Tentare di uscire dal mercato durante le fasi di ribasso può far perdere i rimbalzi più forti e rapidi, compromettendo i rendimenti complessivi.

Costi di transazione e impatti fiscali  Le frequenti operazioni di entrata e uscita aumentano i costi e generano spesso imposte sulle plusvalenze, che possono ridurre il rendimento netto anche di più punti in percentuale.

Comportamenti emotivi e bias cognitivi  Il market timing spesso si traduce in decisioni impulsive basate su paura o euforia, che peggiorano i risultati rispetto a una strategia disciplinata e di lungo termine.

Per questo motivo, molti investitori e studi autorevoli suggeriscono di adottare strategie di investimento che privilegino la disciplina, la diversificazione e il lungo termine, spesso attraverso la gestione passiva.

2.2 Approccio macroeconomico e analisi del sentiment

Il gestore attivo deve analizzare non solo i dati economici e finanziari, ma anche fattori geopolitici, politiche monetarie delle banche centrali, e il sentiment degli investitori, che può influenzare fortemente i mercati nel breve termine.

2.3 Finanza comportamentale e gestione attiva

La finanza comportamentale evidenzia come gli investitori spesso agiscano in modo irrazionale, influenzati da bias cognitivi quali:

  • Overconfidence (eccessiva fiducia nelle proprie capacità)

  • Herding (comportamento gregario)

  • Loss aversion (avversione alle perdite)

  • Recency bias (eccessiva attenzione agli eventi recenti)

Il gestore attivo può tentare di sfruttare queste inefficienze comportamentali per generare alfa, ma le statistiche dimostrano che, più spesso, questi bias portano a perdite anche significative.

3. Costi e performance: dati e statistiche recenti

3.1 Costi della gestione attiva e passiva

Uno degli aspetti chiave che influenzano la scelta tra gestione attiva e passiva sono i costi, che incidono direttamente sul rendimento netto per l’investitore.

  • Gestione attiva: le commissioni di gestione possono variare mediamente tra l’1% e il 2% annuo, a cui si aggiungono spesso commissioni di performance (tipicamente il 20% del rendimento extra rispetto al benchmark). Questi costi elevati erodono significativamente i rendimenti netti, talvolta annullando del tutto non solo il vantaggio della gestione attiva ma anche l’intera performance.

  • Gestione passiva: gli ETF e i fondi indicizzati hanno commissioni molto più basse, spesso inferiori allo 0,2% annuo, grazie all’assenza di decisioni discrezionali e minori costi di transazione.

Uno studio di Morningstar del 2023 evidenzia che: 

“I fondi attivi hanno una commissione media del 1,1%, mentre i fondi passivi si attestano intorno allo 0,15%. Questo divario di costi si traduce in una differenza significativa nei rendimenti netti per gli investitori.” [Morningstar 2023]

3.2 Performance storica

  • Numerosi studi (Morningstar, SPIVA, S&P Dow Jones Indices) mostrano che oltre l’80% dei fondi attivi non batte il proprio benchmark su orizzonti di 10 anni.

  • La performance dei fondi attivi è spesso concentrata in pochi gestori di successo, difficili da identificare a priori.

  • La gestione passiva, replicando il mercato, garantisce di ottenere il rendimento medio del mercato meno i bassi costi.

Secondo il SPIVA Europe Scorecard 2023, la fonte più autorevole in materia, negli ultimi 10 anni:

    • L’84% dei fondi azionari globali denominati in euro ha sottoperformato l’indice S&P World.

    • In Italia, la situazione è stata ancora più critica, con il 98% dei fondi azionari nazionali che hanno fatto peggio del benchmark.

    • La persistenza della sottoperformance è elevata: oltre il 90% dei fondi non risulta persistente su un orizzonte decennale.

    • Il tasso di sopravvivenza a 10 anni è solo del 56%, con molti fondi liquidati o fusi per scarsi risultati.

  • Su un orizzonte più lungo, 20 anni, la situazione peggiora ulteriormente, come evidenzia JustETF:

    • Oltre il 90% dei fondi attivi ha ottenuto performance peggiori rispetto al benchmark.

    • La difficoltà di battere il mercato si accentua nel lungo termine a causa di costi cumulativi e difficoltà di mantenere una strategia vincente.

  • Anche il report SPIVA US Year-End 2023 evidenzia che su 15-20 anni meno del 40% dei fondi attivi sopravvive, indicando un alto tasso di chiusure dovute a performance insufficienti.

Tra i gestori specializzati nella gestione attiva ci sono gli “Hedge fund”, ma è interessante constatare come anche in questo caso le statistiche sono impietose, ad esempio, dal 2011 al 2020 infatti questo club di “eletti” profumatamente pagati e riconosciuti generalmente come “esperti”, non è mai riuscita a battere l’indice (articolo Investing).

 

4. Psicologia dell’investitore e finanza comportamentale

Bias cognitivi e impatto sulle decisioni  Gli investitori sono spesso influenzati da emozioni e bias che portano a decisioni irrazionali, come vendere in panico durante i ribassi o inseguire i mercati in fase di euforia.

Come la gestione passiva aiuta a evitare errori comportamentali  La gestione passiva, essendo una strategia disciplinata e a lungo termine, aiuta a ridurre l’impatto di questi bias, evitando tentativi di market timing spesso fallimentari.

Il ruolo del consulente e della disciplina  Un consulente finanziario può aiutare a mantenere la disciplina, evitando reazioni impulsive e mantenendo la strategia di investimento coerente con gli obiettivi e il profilo di rischio.

 

 

INVESTIMENTO SISTEMATICO

Alcuni studiosi sostengono che non esista un investimento completamente passivo, poiché anche la semplice modalità di applicazione di un Piano di Accumulo (PAC) comporta inevitabilmente scelte attive. Per questo motivo, sarebbe più corretto parlare di investimento sistematico: un approccio che segue regole precise, adattate al proprio stile di vita.

Questo metodo consente di eliminare decisioni arbitrarie e ridurre l’influenza dei bias comportamentali, limitando gli errori e favorendo il raggiungimento di risultati migliori, senza dover aderire a schemi preconfezionati. Tuttavia, affinché un investimento sistematico sia davvero efficace, è fondamentale acquisire un buon livello di consapevolezza finanziaria.